“DA DOMANI MI MUOVO”, IL LIBRO

Leggere un libro fa accadere cose inaspettate. Seguire una storia con un inizio, uno sviluppo e una conclusione ti aiuta a porre attenzione alla sequenza degli eventi e a utilizzare questo meccanismo nella pratica.DDMM_9bis_8_2017

Leggere un libro con la sua trama, le esperienze, le testimonianze, i consigli equivale a vivere i contenuti come fossero reali perché il tuo cervello non fa differenza tra ciò che è immaginato e ciò che è veramente vissuto. Il tuo cervello, leggendo, scatta delle istantanee visive che rimangono ben impresse e a cui lega delle emozioni personali.

Così è nata l’idea di scrivere il libro DA DOMANI MI MUOVO, con l’intento di raccontare una storia utile a farti muovere, a suggerirti come porre attenzione ad alcune semplici regole per uno stile di vita sano.

Diventare abili nel seguire un programma, una pianificazione, un protocollo dal primo momento alla fine, facilita il tuo processo di cambiamento.

DA DOMANI MI MUOVO è un concentrato  di buone pratiche in forma di racconto, un libro che dischiude, a chiunque abbia a cuore la propria salute, la possibilità di riprendere in mano, attraverso il movimento e l’esercizio fisico prima di tutto, la gestione di sé con consapevole responsabilità.

Il libro può essere letto in due modi. Si può leggere la storia di quattro amici che si incontrano dopo trent’anni e che notano, con disappunto, quanto siano cambiati, inevitabilmente invecchiati, ma inaccettabilmente trascurati, oppure si possono apprendere i consigli per darsi una mossa, cambiare e badare di più alla propria salute.

Il segnale che lancia il libro è la necessità di muoversi, di essere attivi, di dedicare un po’ di spazio a se stessi.DDMM_4_8_2017

Lo stile di vita attuale, che sembra rispondere soltanto alla logica del piacere e della pigrizia, è una trappola. Il ricordo di come eri in forma  da giovane e di come ti trasformi nel corso degli anni, se non fai attenzione e ti trascuri,  può stimolarti a invertire la rotta.

Perché la vita spesso sembra sfidare la salute. Sei così lontano da un atteggiamento di rispetto nei confronti del tuo corpo e della tua condizione fisica quando mangi troppo, quando stai tante ore davanti al computer senza alzarti e fare due passi, quando accendi l’ennesima sigaretta rimandando di smettere, prima o poi, tanto che neppure te ne rendi conto.

DDMM_6_8_2017Intorno ai cinquant’anni e anche prima per molti, il corpo entra in una modalità fisiologica di decadimento, in una condizione di mal stare legittimato. Così, senza chiederti come sia possibile, ti arrendi e ti adatti al “Non ho più vent’anni!” rimanendo in attesa.  Stai perdendo dignità e identità e stai  cedendo all’indolenza.

Nel libro sarà l’incontro con Alex, la guida dei quattro amici, per tutti loro,  il punto di svolta. Perché Alex li aiuterà a trovare la vitalità, la forma fisica e la salute perse tra sedentarietà, alimentazione sbagliata o poco attenta, stress e troppi impegni. Ma come in ogni percorso serio di cambiamento, il corpo va preparato a partire dal suo motore. Ed è proprio dalla volontà che i quattro amici dovranno ripartire, pronti a sacrificare le comodità e le abitudini.

DA DOMANI MI MUOVO  non è un manuale, ma il percorso che chiunque può intraprendere in direzione di un benessere fisico e mentale con la forza e l’efficacia di una storia di tutti i giorni.

E’ possibile che “Da domani mi muovo!” lo abbia detto anche tu, tante volte, senza sapere cosa fare.

Accetta la sfida del libro, le indicazioni sono facili da mettere in pratica.

Ecco, in sintesi le 10 più importanti per iniziare:

  1. DECIDERE di voler cominciare a fare qualcosa, di voler cambiare muovendosi.Man and woman jogging on grass, rear view
  2. CONDIVIDERE la decisione in casa (famiglia) per avere un sostegno e la comprensione.
  3. SCEGLIERE di muoversi in ambiente naturale quando è possibile per prenderne tutta l’energia e in una palestra dove trovare spazi adeguati e personale preparato.
  4. INIZIARE GRADUALMENTE, camminare è un’ottima prima soluzione.
  5. PARLARE della decisione di muoversi ad amici o persone vicine per viverlo come una dichiarazione come un impegno serio da rispettare, come una promessa a se stessi e agli altri da mantenere.
  6. RIVOLGERSI ad un esperto come un personal coach o un personal trainer che abbia referenze certificate e testimonianze di buon operato.
  7. ATTRIBUIRE all’ attività fisica, all’esercizio, al movimento in genere il valore di un farmaco salvavita.
  8. COINVOLGERE nell’attività fisica un amico e/o un familiare per condividere l’impegno e lo sforzo.
  9. SPOSTARE l’importanza dell’alimentazione al secondo posto dopo il movimento, ovvero, prima muoversi e poi pensare al cibo.
  10. DARE CONTINUITA’.

Ora tocca a te! 

Buona lettura e buon movimento!

DDMM_2_8_2017

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Da Domani Mi Muovo – 1 – La Storia
“Questo libro aiuta davvero a pensare di dare un senso a ciò che si fa: non è la capacità tecnica decisiva o l’abilità, ma ciò che si chiede a se stessi.
Atleta o persona semplice che sia, oggi più che mai ciascuno deve sentirlo forte e perseguirlo con determinazione. Il movimento è una necessità.” – dalla prefazione di Deborah Compagnoni.
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Da Domani Mi Muovo – 2 – L’Inizio
“Questo è un libro che riguarda tutti noi, sportivi e non. Fare movimento, fare esercizio fisico aiutano nella vita fino da quando, giovani, pratichiamo lo sport. Scegliere di continuare ci aiuta a sentirci giovani e a mantenerci in salute. Il corpo che abbiamo ci deve accompagnare per un lungo cammino ed il nostro compito è di mantenerlo sempre nelle migliori condizioni possibili.” – dalla prefazione di Alberto Tomba
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LA VITA, UNA SFIDA CONTINUA

Vivere la vita è un po’ come affrontare una continua serie di sfide che si mette sulla strada. E’ lì quando si ha un obiettivo da raggiungere o un problema da superare.

E’ un po’ come prepararsi per un’escursione in montagna: il fisico è ben preparato? Si è in grado di gestire le emozioni, lo stress e le paure? Si fa una buona programmazione iniziale?sfide_9_25_2016

L’esito della sfida dipende sempre dal saper utilizzare tutte le risorse interiori a propria disposizione, sia quelle fisiche che quelle psichiche, proprio quando sono sollecitate al massimo.

 Nella sfida si sperimentano le proprie capacità e i propri limiti, si impara ad affrontare difficoltà impreviste, ad essere pronti, a condividere la fatica e la gioia, a non scoraggiarsi.

Trovarsi difronte a una sfida significa avere due uniche possibilità: affrontarla oppure no. Niente scuse. Se si sceglie di affrontarla, il modo migliore di vincere è PREPARARSI. Esattamente come nello sport, dove l’unica maniera per vincere una finale è ALLENARSI! Ma vincere o perdere può aiutare a capire dove migliorare. L’esito della sfida può far comprendere quali attitudini devono essere ancora sviluppate e quali sono le carenze più evidenti.

In questo articolo desidero condividere 5 cose che ho imparato nella mia vita, cose che ho appreso come merito dopo aver superato piccole, grandi sfide e nell’averle, in alcuni casi, evitate come una malattia contagiosa. Ciò che si impara nel corso della propria esistenza non lo si impara soltanto con il successo e le vittorie, ma pure con i fallimenti e le cadute.

1_ CURA la FORMA FISICA e quella MENTALE.

sfide_8_25_2016E’ importante assicurarsi di essere in SALUTE e in FORMA in ogni circostanza della vita. Bere acqua, regolare l’alimentazione, il riposo, l’ATTIVITA’ FISICA, il respiro, l’uso dei farmaci e degli integratori; fare in modo che ci siano sempre la giusta dose di tutto e l’equilibrio in relazione al proprio fabbisogno fisico e psichico. Più è importante la sfida e maggiore deve essere la quantità e la qualità del tempo dedicato all’ESERCIZIO FISICO.

Allentare inoltre l’ansia e non farsi prendere dalla fretta è un consiglio utile da seguire: c’è un tempo per ciascuno per sfidare i propri ostacoli.

2_ALLENA il CERVELLO.

Quando si comunica mentalmente al corpo di persistere nel voler affrontare la sfida, il corpo risponde automaticamente e di conseguenza. Quando si smette con l’autocommiserazione sostituendola con la tenacia e il coraggio, improvvisamente ci si accorge di poter superare i blocchi auto-imposti.sfide_6_25_2016

Bisogna usare l’abilità dell’autosuggestione: parlando di se stessi in forma positiva senza tener conto delle circostanze, visualizzando un risultato positivo e la piacevole sensazione che ne deriva, si abitua il cervello a trascurare quei segnali naturali che orienterebbero a smettere, a lasciar perdere, a rinunciare.

Se si predispone la mente allo scopo, la mente trova la strada per raggiungerlo.

3_IMPEGNATI.

L’impegno è l’esatto opposto della distrazione, dell’evasione, del procrastinare e di tutti gli altri atteggiamenti e comportamenti non-produttivi. Ma pure il troppo impegno, l’esagerata ossessione di farcela andando troppo velocemente dritti verso la sfida è un errore che si commette quando si vuole tanto e senza limiti. E’ come muoversi da pachiderma in un negozio di cristalli e vetri.

L’ideale è invece agire ogni giorno, compiere piccoli passi secondo un vero piano d’azione da mettere in atto e portare a termine compiti che la mente crede essere facilmente realizzabile.

 4_NON ARRENDERTI.sfide_10_25_2016

La chiave dei buoni risultati è l’atteggiamento. Non arrendersi mai di fronte le sfide della vita è un po’ come quando si fa un’escursione in montagna. Se il sentiero è ripido e sfinisce, se la salita non lascia intravedere la cima, non di certo ci si arrende e si torna indietro. Un passo alla volta si procede e anche se la vita mette a dura prova, mano a mano questo modo libera se stessi da un atteggiamento negativo e pessimistico. A volte bisogna combattere la voglia di lasciarsi andare e arrendersi.

Sostituire il “non posso” con il “posso farcela” consente di sviluppare una sorta di fede in se stessi e nelle proprie capacità intrinseche. Come in tutti gli ambiti della vita, l’obiettivo in sé e il lavoro sotteso poggiano su un fondamento di fede.

Il corpo e la mente sono in grado di fare e di dare più di quanto si creda di poter essere capaci in quel preciso istante. Allora, perché sottovalutare se stessi e non aver fiducia nelle proprie capacità?

5_IMPARA dagli ALTRI.

Quando si è di fronte una sfida e c’è uno specifico obiettivo in mente, non si può pretendere di arrivarci in breve o di avere già a disposizione tutti gli strumenti necessari. Perciò, trascorrere del tempo nel formare e educare se stessi, è indispensabile. Ciò significa apprendere quante più cose è possibile per poter conoscere al meglio ciò di cui si ha bisogno per agire in modo efficace. Non si è soli nel sfidare situazioni, momenti, persone che la vita pone davanti; molti altri l’hanno fatto e lo stanno facendo. Allora ascoltare e imparare, leggere, farsi guidare da un coach o semplicemente osservare e prestare orecchio a chi ispira o a chi di esperienza ne ha fatta, può aiutare a esprimere il  meglio delle proprie capacità, a usare le strategie necessarie soprattutto nei momenti che più contano.

Le sfide sono presenti sino alla fine della propria vita e non si evitano perché lì sta la crescita personale dell’individuo. Ci sono prove per superuomini e superdonne e prove più elementari; nessuna deve essere giudicata o comparata perché ciascuna è di grande interesse per l’evoluzione della singola persona.sfide_2_25_2016

 Ci vogliono impegno e determinazione e se gli ostacoli incontrati appaiono faticosi, basta pensare che non sono insormontabili. I limiti che si intendono sono sempre i limiti del possibile. L’impossibile molte volte è tale perché non si vuole renderlo possibile.

 Tante sfide appaiono inaffrontabili, ma molto spesso non lo sono veramente; il più delle volte manca la giusta determinazione per superarle. Vincere una prova impegnativa infonde maggiore fiducia in se stessi, contribuisce a progredire nello sviluppo del carattere, della personalità e nell’approfondire le conoscenze.

 Molte sono le ragioni per vivere una sfida, non ultima la possibilità di raccontarla. Di essa rimane un ricordo significativo e il desiderio del confronto. Di fronte una sfida si prova ad arrivare sino in fondo dando il massimo. Si vince nella misura in cui ci si mette in gioco.

 sfide_7_25_2016

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COS’E’ IL BENESSERE ?

Il concetto di benessere è trasversale ad ogni ambito in cui lo si voglia analizzare. C’è un benessere materiale, economico, un benessere relazionale, psicologico, un benessere fisico, un benessere organizzativo nel lavoro, un benessere sociale, un benessere culturale, un benessere alimentare, un benessere spirituale, un benessere ambientale.

benessere_2_23_2016Il benessere, da ben-essere che significa stare bene, esistere bene, è il termine che specifica gli aspetti, le caratteristiche, la qualità della vita di ciascun individuo e dell’ambiente.

Nel rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo su sistemi e politiche per la salute è stata proposta la definizione di benessere come “lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società”.

Al benessere, stare bene, si associa frequentemente l’immagine di disponibilità economica e di possibilità di soddisfare necessità e desideri in gran parte materiali. Poter vivere dignitosamente, lavorare, soddisfare i propri bisogni primari, possedere una casa, provvedere alle difficoltà contando sulle proprie forze e sulla propria forma fisica, si relaziona ad un benessere economico, materiale di cui le più alte carte costituzionali e la politica fanno riferimento promuovendone i diritti.

Dal 1930 al 2015, in 85 anni, misurato con il prodotto interno lordo pro capite, il benessere economico materiale è aumentato di 4,5 volte nel Regno Unito, di 5 volte negli Stati Uniti e in Francia, di 6 volte in Italia e Germania.

E’ vero che le condizioni di vita delle persone dipendono dalla disponibilità materiale di beni e servizi e che il reddito è uno strumento per vivere bene, ma ciò non tiene conto di tutte le sfumature della qualità della vita.benessere_4_23_2016

La percezione del benessere ha una valenza soggettiva e personale, oggettiva e sociale in relazione ai tempi, luoghi, circostanze, alle persone.

Il benessere soggettivo viene influito da una condizione di benessere oggettivo. Se si ha denaro ma si vive in un ambiente altamente inquinato o la salute fisica è compromessa, la qualità di vita risulta pessima e non c’è benessere.

Così, il benessere economico (denaro) non è una condizione esclusiva, bensì necessaria e indispensabile, ma non unica.

Il benessere non risiede soltanto nelle comodità in cui e con cui si vive e si lavora, ma nella soddisfazione che si ottiene agendo.

Il benessere è anche psicologico, relazionale. Attinge alle emozioni dell’individuo, alle sue ansie e alle sue speranze, alle sue paure e a tutto ciò che è profondo. Si tratta di benessere percepito quando esiste un rapporto umano autentico, quando si è accolti e riconosciuti, quando si è chiamati per nome e si è persone, non solo “clientela” o “utenza”, con la propria unicità e le proprie potenzialità.

benessere_6_23_2016Così, soprattutto per un adolescente, il benessere è principalmente l’essere accettato dagli altri, dal gruppo, avere un corpo, un aspetto gradevoli, muovere simpatia, possedere abilità che lo rendono interessante. L’inclusione nel gruppo di riferimento è per il giovane la forma più alta di benessere.

 Benessere è poi tutto ciò che concerne la sicurezza, la tranquillità, l’assenza di difficoltà. Chi non desidera, in fondo, una vita senza problemi, senza rischi e imprevisti? Ma, a volte, il benessere è proprio lì, il risultato di ciò che le difficoltà ci insegnano per crescere interiormente. Perché sono proprio le crisi a illustrarci come “stare bene”, come costruire nuovi percorsi di vita, come attingere alle proprie risorse personali, come sviluppare capacità di attivarsi, come scoprire potenzialità emotive e gestionali per superare gli ostacoli. Resilienza significa imparare qualcosa di più su di sé, sulle proprie capacità per affrontare ogni genere di problema e costruire nuovi equilibri.

Il benessere fisico è una condizione dinamica di ricerca dell’equilibrio, fondata sulla capacità dell’individuo di interagire con se stesso e con l’ambiente in modo positivo, pur modificandosi la realtà circostante.benessere_16_23_2016

Parlare di benessere fisico significa assumersi la responsabilità e l’attenzione del curare se stesso, dello star bene nel migliore dei modi possibili.

Significa assumersi la responsabilità di fare attività fisica con costanza, di pensare alla propria alimentazione passando dal mangiare indiscriminatamente al nutrirsi per avere energia vitale, di bere acqua per soddisfare il bisogno di idratazione di un corpo costituito per il 70% circa d’acqua e per depurarsi dalle scorie, di respirare ossigeno secondo modalità che non sono soltanto quelle vitali, automatiche badando alla qualità dell’ aria e all’ambiente verde.

Wellness wooden sign on a beautiful dayIn una parola, wellness cioè benessere derivante dalla pratica del movimento e dell’esercizio fisico da una corretta dieta alimentare da un atteggiamento positivo e proattivo, dalla ricerca di un proprio equilibrio psicofisico.

La persona può acquisire il controllo diretto e la gestione della propria condizione di benessere (abitudini individuali, atteggiamento mentale).

La mente è direttamente connessa con il corpo e può trasformarsi in uno strumento e in una risorsa per accrescere il benessere.

Il termine benessere indica in questo contesto una filosofia che vede l’individuo singolo responsabile, attivamente coinvolto nel processo volto a migliorare e aumentare la propria salute.

Ecco che benessere vuol dire pure empowerment, ovvero capacità di assumere il controllo della propria vita, di padroneggiarla, di acquisire un ruolo attivo verso la propria esistenza e l’ambiente ponendosi davanti alle difficoltà con un atteggiamento positivo e costruttivo.

the concept of education of children.the generation of knowledge

Che il benessere vada inteso come una condizione multidimensionale è un dato di fatto. E che il benessere possa essere misurato nelle sue 12 dimensioni:

  • salute
  • istruzione e formazione
  • lavoro e conciliazione tempi di vita
  • benessere economico
  • relazioni sociali
  • politica e istituzioni
  • sicurezza
  • benessere soggettivo
  • paesaggio e patrimonio culturale
  • ambiente
  • ricerca e innovazione
  • qualità dei servizi

è un’indagine statistica che tiene conto di tutti gli indicatori relativi al benessere e non soltanto il PIL.

benessere_12_23_2016C’è un benessere che si acquisisce attraverso i processi educativi e culturali che servono a dare pienezza alla vita, a formare personalità libere e pensanti; quel benessere, vero, lo si trova nel perseguire la verità nella formazione continua, nelle relazioni umane sincere e oneste.

Benessere è anche la capacità dell’individuo di realizzarsi con soddisfazione e gratificazione, con consapevolezza e autonomia avendo a disposizione tutte le risorse accessibili, personali e della collettività.

In futuro l’esistenza umana dipenderà molto dalla ricerca della propria condizione di benessere, dall’attenzione rivolta a se stessi, dal senso soggettivo del benessere e della qualità della vita. Raggiunto il proprio benessere saremo in grado di far fronte alle mutate condizioni di vita di una realtà tecnologica e al suo continuo cambiamento.

benessere_11_23_2016

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RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA: LA SFIDA

Secondo l’Unione Europea la CSR, Corporate Social Responsability ovvero la Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), è “La responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”. Per l’articolo 41 della Costituzione Italiana “L’ iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”.

Per spiegarlo più chiaramente, la Responsabilità Sociale d’Impresa è l’impegno di ciascuna azienda a comportarsi in maniera corretta e etica, oltre al rispetto della legge, integrando le scelte di gestione e le operazioni commerciali con considerazioni e azioni di carattere sociale, ambientale e ecologico.

Oltre a prelevare per creare prodotti o servizi, un’azienda deve apportare valore sociale e ambientale.

L’azienda ha una responsabilità che implica l’impossibilità di separare il business dall’etica.

sfide_rsi_3_21_2016In fondo le aziende, piccole o grandi che siano, non esistono fine a se stesse: vivono, agiscono e influenzano l’ambiente, il territorio circostante, il tessuto sociale e da essi sono influenzate.

Le aziende non appartengono soltanto ai loro proprietari e alle figure manageriali che le gestiscono, ma rappresentano un bene sociale che interagisce con la società e l’ambiente.

E così pure i prodotti e servizi realizzati da ogni singola azienda devono essere valutati e apprezzati, in quest’ottica di pensiero, non soltanto per le loro caratteristiche qualitative funzionali o esteriori, ma pure per quelle non materiali. Considerare che un prodotto e un servizio di ogni azienda sono il risultato anche di una particolare attenzione alla salute e alla sicurezza sul lavoro, al rispetto dei diritti umani evitando le discriminazioni, alle buone relazioni con i fornitori, i clienti, le comunità locali, alle preoccupazioni ambientali e alle sue azioni in difesa, è un modo più attuale e funzionale di concepire l’azienda.

Ciò comporta pertanto un ripensamento del modello organizzativo delle aziende soprattutto per il futuro. Le dimensioni sociali, umanitarie e ambientali diventano così centrali tanto quanto il profitto.

Compito dell’imprenditore non è solo quello di creare ricchezza e occupazione, da molti ritenuto l’unico vero dovere, ma di considerare l’azienda parte di un ambiente con il quale interagisce.

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 La Responsabilità Sociale d’Impresa non è soltanto una modalità di fare impresa in maniera socialmente responsabile, ma di pensare il rapporto tra sistemi e ambiente eticamente dove le persone stanno al centro di un progetto concreto. L’azienda diventa così un sistema sociale aperto.

Applicare concretamente la RSI nella mia azienda è stato determinato da sempre da motivazioni molto forti.

Mi ha spinto innanzi tutto l’essere un imprenditore, colui che è creativo, propenso al rischio, capace di creare e coordinare il lavoro delle persone, di produrre benessere economico, ma pure valore aggiunto. E secondariamente mi ha spinto il concetto di sostenibilità che considera che le performance aziendali debbano essere valutate sia in termini economici che sociali e ambientali.

La sostenibilità è un approccio finalizzato a creare valore nel lungo periodo.

Due ragioni valide per costruire valore. Una grande opportunità per l’azienda, non certo un vincolo.

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Applicare la RSI nella mia piccola azienda, Starbene Group, significa, a oggi, per le risorse umane rispondere agli indicatori di sicurezza dei dipendenti, formazione continua anche sui temi della sicurezza e del primo soccorso, rispetto del piano contrattuale, contributi e agevolazioni, infortuni e malattie; per la comunità, comunicazione e coinvolgimento della cittadinanza (iniziative sociali come il gruppo di cammino “5000 passi”, eventi culturali e sportivi, “porte aperte”, ecc.), ricerca e innovazione, solidarietà sociale (donazioni locali e internazionali, sponsorizzazioni e aiuti umanitari), partnership con associazioni no profit; per l’ambiente, diminuzione delle emissioni inquinanti (uso di detersivi ecologici, riciclo della carta per pulizie, raccolta differenziata dei rifiuti e dei tappi di plastica), riduzione dei consumi delle risorse e dei costi ambientali (luci led per l’energia elettrica, temporizzatore per le docce per l’acqua, termostati per la temperatura dell’aria), conservazione del patrimonio naturale preesistente (alberi secolari nel giardino, uso dell’area verde per le attività motorie e gli eventi, controllo della produzione di anidride carbonica).

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E’ vero che per seguire gli obiettivi della RSI dipende dal settore in cui l’azienda svolge la sua attività, dalle dimensioni dell’impresa, dai contesti locale e socio – ambientale in cui opera, dalla disponibilità economica, dal tempo a disposizione, dalle persone competenti in materia.

L’Italia che conta un numero elevato di piccole e medie imprese, sembra essere in ritardo rispetto ad altri Paesi del Nord Europa e degli Usa, ad esempio, non tanto sul lato legislativo o delle politiche pubbliche quanto sull’impegno delle aziende private.

 Saranno dunque le piccole dimensioni delle imprese a giustificare il ritardo italiano oppure una mancata agevolazione fiscale e burocratica da parte dello stato o, ancora, la scarsa sensibilità dei titolari d’impresa verso un’etica commerciale, sociale e ambientale?

sfide_rsi_5_21_2016Di fatto oggi si riscontra un’attitudine positiva e propositiva delle aziende nei confronti della RSI.

Molti temono che dietro la RSI si nasconda un interesse di “marketing”, una volontà delle aziende di apparire “belle” nelle loro caratteristiche ecologiche, etiche e sociali per ottenere vantaggi sul mercato.

Lo stesso Governo Italiano considera la RSI un fattore di competitività piuttosto che un costo. Ciò lascia intendere che domani le aziende impegnate in iniziative riguardanti la tutela dell’ambiente, nell’area di influenza, il miglioramento o la salvaguardia della qualità di vita lavorativa ed extra lavorativa dei propri dipendenti e loro familiari competeranno eticamente ed efficacemente sul mercato.

Dimostrare che ci sarà davvero una volontà di contribuire al bene della comunità da parte delle aziende investendo nell’ambiente, nelle relazioni, nel capitale umano non è semplice ed è estremamente personale. Ma si voglia o non si voglia, dal 1° gennaio 2017 le imprese con più di 500 dipendenti, secondo la Direttiva europea, saranno chiamate a comunicare informazioni riguardanti la sostenibilità ambientale, sociale, la gestione delle forniture, dei rischi, ecc.

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Se a queste azioni seguiranno anche quelle delle piccole e medie imprese, assisteremo al moltiplicarsi di buoni comportamenti sociali ed ambientali verso un Umanesimo civile.  

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RIDE TO MOSCOW

Sensibilità e attenzione alle iniziative che legano il movimento al sociale mi portano a parlare di “Ride to Moscow”.  Anche quando il movimento è una lunga pedalata dal FVG a Mosca in bicicletta, la finalità può non essere sportiva, ma soltanto umanitaria. Ecco come la sfida di pedalare dal 29 luglio al 14 agosto per circa 160 km ogni giorno porta tre persone ultracinquantenni, appassionati di ciclismo, a mettersi in gioco non per un risultato sportivo, ma per aiutare chi, nella vita, è più sfortunato.
Alessandro, Arturo e Paolo in questa loro impresa, vogliono trasmettere il senso del dono.

“Ride to Moscow” è un’iniziativa di solidarietà. L’obiettivo è sostenere il fondo “Una porta per la vita”, una raccolta di denaro in favore dei ragazzi orfani russi tra i 10 e i 18 anni con l’intento di aiutarli affinchè possano trovare un lavoro all’uscita dall’istituto dove sono cresciuti e quindi per dare loro un futuro.

La condizione degli orfani in Russia è drammatica non tanto e non solo per come i ragazzi vivono all’interno degli istituti, ma soprattutto per le enormi difficoltà che incontrano una volta fuori.
I dati ufficiali parlano di 670 – 700 mila orfani in Russia. Oltre l’80 % dei casi è rappresentato da orfani sociali, ovvero bambini e ragazzi che hanno i genitori, ma che provengono da famiglie disagiate con problemi di droga, criminalità e soprattutto abusi. Quei genitori, molto spesso, non abbandonano un solo figlio, ma tutti assieme e questi vengono poi divisi e collocati in diversi orfanotrofi. Lì rimangono fino al compimento della maggiore età.
Le adozioni sono sempre possibili, anche se sono limitate ai bambini in tenera età e senza disabilità. Più essi diventano grandi e più la società tende a rifiutarli privando così bambini di 10 – 12 anni di ogni speranza di adozione.
Questa realtà trova conferma nei dati forniti dall’associazione russa per la tutela dei minori: il 70 % degli orfani che vivono all’interno degli istituti ha più di 10 anni e il 15 % presenta una disabilità.
I ragazzi, dopo aver trascorso la loro infanzia all’interno degli orfanotrofi, spesso senza potersi confrontare con il mondo esterno, appena maggiorenni sono costretti a lasciare la struttura di accoglimento e ad andarsene. E’ questo il momento in cui hanno un maggiore bisogno di sostegno. Molti di essi non riescono a integrarsi completamente nella società e rimangono pertanto ai margini. Dati ufficiali, tra cui quelli forniti dall’Ufficio del Procuratore Generale, rilevano che il 30 % di questi ragazzi, un anno dopo aver lasciato l’istituto, è senza tetto sotto il quale vivere ed è costretto a vagabondare per le città. Il 40 % diventa tossicodipendente o alcolista e un ulteriore 40 % finisce col commettere reati di vario genere. Un giovane su dieci trova, inoltre, nel suicidio la soluzione ai suoi problemi. Solo pochi, dunque, riescono a farsi una vita mentre molti vanno a fondo dandosi all’alcool o al crimine.
L’aiuto principale di cui questi ragazzi necessitano non è esclusivamente economico, ma soprattutto umano.
Nella maggior parte dei casi, infatti, gli orfanotrofi ricevono molte risorse economiche dallo Stato a tal punto da soddisfare i bisogni primari dei bambini e dei ragazzi che ospitano. Questi istituti si impegnano anche a offrire loro un’istruzione e la possibilità a 18 anni, di raggiungere un diploma di maturità. Il limite di questo sistema, però, consiste nella gestione dei ragazzi isolati sempre e soltanto all’interno degli istituti. Ciò li priva delle opportunità di frequentare le scuole pubbliche e di confrontarsi con i propri coetanei. L’isolamento che questi giovani vivono per lungo tempo crea seri problemi nel momento in cui sono costretti a lasciare gli orfanotrofi.

L’intento del progetto “Porta per la vita” è di sostenere questi ragazzi con il denaro raccolto, accompagnandoli e assistendoli economicamente nel difficile passaggio tra l’abbandono dell’istituto e l’entrata nella vita sociale.
L’obiettivo è di incoraggiare i talenti, le abilità, le potenzialità che essi manifestano, sostenendoli nello studio o nell’apprendimento di un mestiere.
In questo modo si spera di favorire l’integrazione nel tessuto sociale del loro paese.

L’associazione GEOFORCHILDREN, che ha promosso e organizzato questo progetto di solidarietà e di aiuto, raccoglie i fondi per l’iniziativa e si assicura che questi vengano impiegati in favore degli orfani senza dispersioni e interferenze.
Tre uomini pedaleranno per diciassette giorni dal FVG alla Piazza Rossa di Mosca, passando per i principali paesi dell’Est Europa e attraversando la Slovenia, l’Austria, la Rep. Ceca, la Polonia, la Bielorussia e la Russia. Sono Paolo Ferraris ideatore dell’iniziativa, presidente di GEOFORCHILDREN, il fratello Alessandro e Arturo Giustina, socio di Starbene Group.
E io che ci faccio in questa sfida?
La mia competenza nell’organizzare questo viaggio, il supporto come COACH all’impresa, il mio desiderio di contribuire mi hanno spinto qua. La solidarietà non conosce limiti ne confini. La sofferenza sociale ha bisogno di aiuti reali e non di barriere. Donare tempo, energie e impegno liberamente è tutto ciò che ho deciso di fare.
So bene che quelle tre persone, quei tre grandi amici, diventano i promotori e i testimoni di una solidarietà che sarà per tutti un grande esempio, ma so anche che, in quanto sportivi, non devono mai perdere la loro preparazione fisica e mentale.
La sfida di raggiungere Mosca in bicicletta sta anche nella gestione degli imprevisti e dei problemi fisici che si possono incontrare.
C’è da temere tutto quello che permette di ripartire il giorno dopo per la successiva tappa. La grande incognita sono le strade: ogni intoppo allunga il tempo di percorrenza diminuendo quello di recupero di ciascun ciclista.
Tutto ciò che incontreremo aiuterà a crescere e a non dimenticare che lo scopo del progetto è raccogliere i contributi in donazione ai giovani russi.

Ride to Moscow, dal 29 luglio al 14 agosto 2016.
www.geoforchildren.org

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Atleta o persona semplice che sia, oggi più che mai ciascuno deve sentirlo forte e perseguirlo con determinazione. Il movimento è una necessità.” – dalla prefazione di Deborah Compagnoni.
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LA SFIDA E’ DARE

Dare è il primo passo. E non avere paura di donare è il segreto.

Da sempre le persone e le organizzazioni destinano risorse a progetti con finalità socio – assistenziali e di aiuto. Ogni anno singole offerte e significative somme di denaro si riversano a favore di minori orfani, di bambini con disabilità, di poveri e indigenti, delle ricerche in campo medico, della realizzazione di strutture e infrastrutture. Un vero e proprio mondo indaffarato ogni giorno nell’ aiutare gli altri si profila strutturato e orientato a moltiplicare il numero di persone coinvolte, le aree di operatività e la forza espressa a contrasto delle miserie e delle necessità di numerosi luoghi.

Amoris excessus, sovrabbondanza di amore, sta a dire che al centro di tutto vi è la beneficienza.4lug_1Registrazione dominio per Blog_register.it_docx

Quando si fa riferimento alle attività di beneficienza molto spesso si allude alla filantropia, a quel sentimento identificato con l’ amore nei confronti del prossimo e con la generosità verso gli altri. Dal greco antico philìa, “amore” e ànthropos, “uomo, essere umano”, filantropia nell’uso corrente significa disposizione d’animo, atteggiamento di amore verso gli esseri umani e impegno operoso di un individuo o di gruppi sociali nel promuovere la felicità e il benessere altrui attraverso azioni di solidarietà.

Sentirsi bene facendo del bene. Dare tempo, energie e competenze liberamente rappresenta tutto ciò che una singola persona o un’organizzazione ha deciso di fare. Senza pressioni ad agire da parte di altri, quelle figure hanno preso la decisione di aiutare spontaneamente. Se può essere vero che da sole non sono in grado di risolvere tutti i problemi del mondo, con ciò che ciascuna vuole contribuire si può rendere migliore quel piccolo contesto a cui l’aiuto é destinato.

4lug_3Solidarieta-le-donazioni-italiane-corrono-sul-webQuando si dona, probabilmente anche si riceve. Quando si da’ una mano agli altri, si da’ anche una mano a se
stessi. Dare soddisfa in realtà un bisogno che è grande in noi. Il bisogno spirituale di contributo si appaga solo quando si contribuisce alla vita degli altri. Proprio come un neonato non può sopravvivere da solo senza l’apporto al proprio benessere da parte degli altri, così noi non siamo in grado di ricevere una gratificazione spirituale se non diamo il nostro apporto aiutando gli altri.

Il desiderio di soddisfare questo tipo di bisogno sorge in automatico, non prevede alcuno sforzo cosciente. A prescindere dalla nostra identità, dal nostro vissuto personale, dalla nostra religione e dalla nostra professione, dalla razza e dalla cultura di appartenenza, ogni giorno siamo spinti a soddisfare quel bisogno che da sempre è parte integrante della natura umana.
“Soltanto riuscendo a soddisfare il bisogno dello spirito sarà possibile raggiungere l’obiettivo di una gioia sostenibile piuttosto che quello di un piacere momentaneo “.

L’essere umano solitamente appaga il proprio specifico bisogno in modo positivo, negativo o neutro, ma in ogni caso e in qualche particolare maniera riesce a soddisfarlo. È sempre possibile soddisfare un bisogno: il segreto consiste nell’individuare una modalità ragionevole di realizzazione e che procuri più piacere che dolore.
La psicologia fornisce la risposta al perché l’uomo agisca e si comporti in un certo modo, perché esistano persone disposte a dare, a rendersi utili, a sacrificare la propria vita e parallelamente ci siano persone poco disposte a dare o addirittura disposte a uccidere per puro piacere. Questo perché esiste una forza che determina tutte le nostre emozioni e azioni, la qualità della nostra vita e che si chiama bisogno umano.4lug_2social-work-lecture-series-1024x576-e1447005769734

E’ vero che donare o prestare servizio gratuito per aiutare le persone in difficoltà senza niente in cambio è un atto generoso altruistico e pro sociale, ma non sono soltanto queste le motivazioni.

Le motivazioni si esplicano nelle azioni, e nei risultati, non sono mai fatti osservabili. Il bisogno di contribuire a volte nasconde altri bisogni personali. Come il ridurre il proprio disagio di fronte alle necessità o sofferenze altrui per una pace interiore, come il desiderare di accrescere la propria autostima sentendoci utili, a volte indispensabili, ma comunque protagonisti, come il fare nuove esperienze e acquisire abilità, come il dare un altro significato alla propria esistenza, come il confidare in un riconoscimento sociale. Certo è che se il contribuire produce benessere non solo a chi riceve ma pure a chi dà eticamente, allora non è più necessario indagare sul perché si contribuisce.

Dare e fare per gli altri rimane comunque l’espressione di un orientamento pro attivo e pro sociale che crea benessere e non fa male.

Ci sono persone e imprese che hanno il senso della filantropia. Ma ci sono pure condizioni che vanno rispettate.

La destinazione della risorsa donata deve essere garantita, gli obiettivi di aiuto devono essere chiari, la modalità di distribuzione o di intervento deve essere pianificata e il risultato finale deve essere certo e dimostrato.

Singolo individuo o organizzazione che sia, a prescindere dalla propria missione e dai propri scopi, deve essere in grado di pianificare, organizzare e gestire tutte le azioni che portano ad una raccolta fondi e contributi senza scopo di lucro. Inoltre, il fundraiser non deve perdere di vista quelle caratteristiche a cui tendere che sono: la credibilità, la fiducia da parte degli altri, contribuenti e riceventi, la curiosità di conoscere realtà di bisogno, la consapevolezza delle proprie responsabilità, l’intraprendenza e l’esposizione al rischio, la capacità di perseverare, l’essere concreti, chiari, realistici ed efficaci.

L’organizzare una lotteria o una pesca di beneficienza, come intraprendere un’operazione finanziaria per la costruzione di un ospedale in Africa, per esempio, è filantropia e come tale deve sostenere il progetto desiderato con grande passione. La cosa importante è scegliere sulla base dei desideri personali e chiedersi quale scopo si voglia ottenere con il contributo. A volte non c’è bisogno soltanto di denaro, ma anche di persone affinché il progetto venga sostenuto.

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Siamo in molti a credere che in un certo momento della nostra vita, si delinea quella responsabilità di restituire alla società e all’ambiente in cui viviamo le risorse ricevute in precedenza per la nostra crescita personale. Oltre che una responsabilità, contribuire è un onore.

 Oggi la generosità può essere la sintesi di un meccanismo di mercato che avanza autonomamente. La nuova tendenza è di fare filantropia facendo anche un etico profitto. Avere un orientamento sociale attraverso attività sociali grazie ad una filantropia aziendale, crea pure un valore aggiunto ai servizi o ai prodotti offerti e non solo un ritorno di immagine.

Nei paesi anglosassoni già da alcuni anni c’è un orientamento all’innovazione sociale intesa come risposta ai bisogni emergenti attraverso nuove forme di azione e relazione. Il Social Impact Investing ad esempio, si propone di progettare lo sviluppo di un Paese intero coinvolgendo gli ambiti pubblici e privati, le organizzazioni no-profit, con un duplice obiettivo: grande impatto sociale e guadagno economico. Si sa che la crescita sociale spinge in direzione di una crescita dell’economia. Oggi ciò è reso possibile dalla mancanza di risorse pubbliche e dalla minor contrapposizione tra il fare profitto e il fare beneficienza.

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DA GRUPPO A SQUADRA: LA SFIDA

“If you want to walk fast, walk alone. If you want to walk far, walk along with others” (African proverb)
“Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme.”
(Proverbio africano)

Andare avanti insieme a altre persone non è certamente la cosa più semplice al mondo, tanto più se ci sono evidenti diversità caratteriali e di intenzioni. Essere un gruppo prevede già un confronto e un dialogo per poter capire innanzitutto di essere compagni dello stesso viaggio nella vita. Il sentimento di appartenenza si lega alla percezione del gruppo ovvero all’intento di voler procedere insieme e non da soli, di voler andare lontano piuttosto che veloci.
Se nei contesti di vita si lavora in gruppo, l’impegno collettivo diventa fonte di creatività e armonia, la fatica si attenua e, in termini di efficacia, si rende di più.

Spesso ci si esalta all’idea di competere da soli e si sottovaluta il valore della cooperazione perché si è gelosi della propria conoscenza, del proprio valore, dei risultati delle proprie azioni, risultati che non si vogliono condividere con gli altri.Sfide_Gruppo_Squadra2_12_2016

Il lavoro di gruppo nasce quando ci si concentra sul “noi” e non soltanto sull’“io”

Lavorare in gruppo, in qualsiasi attività e situazione, significa entrare a far parte di un organismo coeso dove le persone interagiscono e si influenzano reciprocamente. Il lavoro di gruppo stimola la cooperazione al servizio degli obiettivi prefissati anziché la competizione tra individui.

Fare gruppo, qualunque sia il proprio ruolo o la propria identità, porta le persone ad essere più motivate, meno ansiose, più intraprendenti nell’esprimere idee e pensieri, più umili nell’accogliere opinioni diverse e contrastanti.
Chi compone un gruppo collabora con i propri valori, insieme a quelli dei compagni, all’esito positivo dell’iniziativa. Aggiunge valore al contributo di tutti. In questo modo il lavoro diventa fonte di motivazione, creatività, soddisfazione e pure di felicità. Si diventa più sicuri di sé, più forti e più produttivi, più tolleranti verso le diversità non soltanto nel lavoro, ma in ogni contesto della vita.

Il passaggio da gruppo a squadra non è semplice e immediato. Ci vogliono tempo, educazione, esempio, convincimento e scelta delle persone.

L’idea di squadra ha a che fare con il concetto esterno della Sfide_Gruppo_squadra_12_2016competizione e della sfida sportive. Il concetto di gruppo volge invece l’attenzione all’assetto interno nella collaborazione tra le persone, all’organizzazione che consente di lavorare bene anziché di gareggiare.
Nel gruppo solitamente si discute, si negozia, ci si oppone, si accolgono le divergenze e le eccezioni. Nella squadra si decide cosa fare senza lasciare poi tempo e spazio alla discussione; non c’è negoziazione perché, comuni obiettivi chiari e condivisi, non si modifica nulla; non c’è opposizione altrimenti si esce dalla squadra; non si accolgono divergenze ed eccezioni se non a risultato raggiunto.

Le persone che fanno parte di una squadra hanno coscienza di partecipare sempre a una sfida dove in fondo o c’è sconfitta o c’è vittoria.

Le persone che fanno parte di un gruppo raramente perdono e non necessariamente vincono quando fanno un buon lavoro.
Il gruppo si orienta prevalentemente verso l’efficienza, la squadra verso l’efficacia. Il gruppo esalta lo spirito di collaborazione, la squadra quello di competizione.

Sfide_Gruppo_Squadra3_12_2016E’ lo sport a indicare ai contesti lavorativi e di vita come fare lavoro e gioco di squadra per ottenere i migliori risultati, il massimo della resa, per garantire maggiore soddisfazione nel lavoro e senso di appartenenza del personale. Nelle squadra i risultati dei singoli non si sommano, ma si moltiplicano.

Non è più sufficiente avere singole persone impegnate, bensì componenti di una squadra coordinati, ben assortiti, integrati e interattivi.

Come essere una squadra?

Perché un gruppo di persone diventi una squadra è necessario:

  • avere ruoli precisi
  • sperimentare un senso di aggregazione e condivisione;
  • condividere vision e obiettivi. Il futuro va visto in modo chiaro da tutte le persone della squadra e chi crea la squadra deve trasmettere una visione dove tutti si ritrovino nelle loro azioni quotidiane;
  • stabilire delle regole chiare, condivise e rispettate. Se mancano, le persone automaticamente e inconsciamente considerano le proprie regole come dei principi assoluti;
  •  valorizzare le diversità delle persone come risorse e non come limiti.

La sfida del gruppo che passa a essere squadra sta in una stimolazione mentale ad affrontare il lavoro e la vita con il senso di competizione costante, con ruoli definiti e una forte motivazione.

Diventare squadra vuol dire concentrarsi sul presente, proiettarsi verso il futuro anziché mantenere lo sguardo verso il passato.

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MONTAGNA E SFIDA

Montagna e sfida_1_5_2016La montagna è uno stimolo a misurarsi, come la sfida, non un qualcosa da raggiungere per forza. Poter dire “io posso farlo” serve a dimostrare a se stessi quali sono le proprie capacità, cosa che in genere il “sistema” non domanda a nessuno.

La montagna è un ambiente pieno di significati e per questo esercita un fascino particolare. Affrontandola, esplorandola, ma anche semplicemente percorrendola veniamo a conoscenza di noi stessi e pian piano ci scopriamo.Montagna e sfida_3_5_2016

La strada che scegliamo in montagna è sempre in salita e ci richiede impegno, corretta preparazione, curiosità, coraggio, entusiasmo e rispetto. Oltre al sentiero sul quale camminiamo, contano molto gli ostacoli che superiamo, la fatica e a volte il timore che allontaniamo, i limiti che oltrepassiamo.

Non siamo mai più forti della montagna, ma vivendola, impariamo a conoscerla. A volte non siamo noi a scegliere la montagna, ma è lei a scegliere noi ponendoci lungo il percorso quelle difficoltà di cui abbiamo bisogno per compiere il passo successivo. Tutte quelle difficoltà hanno un significato e servono a farci crescere. Nessuno può affrontarle al nostro posto, sono qualcosa di personale, non delegabile.

Non siamo mai più forti della montagna e i primi passi sono insidiosi, ma se abbiamo fiducia in noi stessi, possiamo arrivare lontano. E la vetta è il nostro successo personale.
Montagna e sfida_2_5_2016

La montagna è la metafora della vita perché l’immagine che ricaviamo è di un percorso in salita con i suoi gradi di difficoltà e con un unico obiettivo, la cima

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SCRIVERE UN LIBRO

IMG_3878La sfida è un invito a misurarsi. Non è soltanto raggiungere un obiettivo, ma anche un processo interiore di crescita. È una sorta di tensione, fondamentale per l’uomo, grazie alla quale si dà il meglio di sé.

Non sempre affrontiamo quello che conosciamo e che facciamo quotidianamente, non sempre ci predisponiamo a cambiare le cose per ottenere dei miglioramenti; la sfida, invece, è proprio la voglia di migliorare, di salire più in alto, di andare un po’ oltre fino a dove ci sarà concesso.

La sfida serve a confrontarsi, a misurare l’estensione del proprio essere, a diventare consapevoli delle proprie abilità e possibilità.

IMG_8033Così scrivere un libro può rappresentare una sfida: quel fare al meglio delle proprie capacità ciò che si è deciso di fare.

Quando arriva il momento di mettere in campo il proprio sapere e fare in modo che il pubblico ne venga a conoscenza perché lo si ritiene di una certa utilità, allora è il momento di confezionare un libro. Le persone interessate leggono quel libro e i contenuti se ne vanno in giro per il mondo.

Scrivere un libro serve a ispirare e forse è questa la più grande aspirazione: ispirare il pubblico. Diventare un esempio positivo da seguire. Essere un punto di riferimento. Inserendo e racchiudendo in un unico luogo, il libro, tutte le proprie idee, i pensieri, l’intera esperienza, si può diventare davvero un punto di riferimento. Un punto, non certo il punto. L’illusione di cambiare il mondo, non è ragionevole, ma il libro può migliorare il mondo, può dare un grosso contributo.

Scrivere può dare forma alla propria grande passione, dove la passione muove tutto, e trasmetterla alle persone che seguono. I contenuti di ciò che si scrive arrivano al mondo e solo allora ci si rende conto di quanto possa essere importante comunicare agli altri quello che si vuole dire. Scrivere può rappresentare una delle migliori forme di comunicazione. La parola scritta è così potente da raggiungere i cuori delle persone e toccare la corde dei loro animi. Scrivere è come lasciare un’impronta.IMG_4459

Questa è la sfida.

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