RIDE TO MOSCOW

Sensibilità e attenzione alle iniziative che legano il movimento al sociale mi portano a parlare di “Ride to Moscow”.  Anche quando il movimento è una lunga pedalata dal FVG a Mosca in bicicletta, la finalità può non essere sportiva, ma soltanto umanitaria. Ecco come la sfida di pedalare dal 29 luglio al 14 agosto per circa 160 km ogni giorno porta tre persone ultracinquantenni, appassionati di ciclismo, a mettersi in gioco non per un risultato sportivo, ma per aiutare chi, nella vita, è più sfortunato.
Alessandro, Arturo e Paolo in questa loro impresa, vogliono trasmettere il senso del dono.

“Ride to Moscow” è un’iniziativa di solidarietà. L’obiettivo è sostenere il fondo “Una porta per la vita”, una raccolta di denaro in favore dei ragazzi orfani russi tra i 10 e i 18 anni con l’intento di aiutarli affinchè possano trovare un lavoro all’uscita dall’istituto dove sono cresciuti e quindi per dare loro un futuro.

La condizione degli orfani in Russia è drammatica non tanto e non solo per come i ragazzi vivono all’interno degli istituti, ma soprattutto per le enormi difficoltà che incontrano una volta fuori.
I dati ufficiali parlano di 670 – 700 mila orfani in Russia. Oltre l’80 % dei casi è rappresentato da orfani sociali, ovvero bambini e ragazzi che hanno i genitori, ma che provengono da famiglie disagiate con problemi di droga, criminalità e soprattutto abusi. Quei genitori, molto spesso, non abbandonano un solo figlio, ma tutti assieme e questi vengono poi divisi e collocati in diversi orfanotrofi. Lì rimangono fino al compimento della maggiore età.
Le adozioni sono sempre possibili, anche se sono limitate ai bambini in tenera età e senza disabilità. Più essi diventano grandi e più la società tende a rifiutarli privando così bambini di 10 – 12 anni di ogni speranza di adozione.
Questa realtà trova conferma nei dati forniti dall’associazione russa per la tutela dei minori: il 70 % degli orfani che vivono all’interno degli istituti ha più di 10 anni e il 15 % presenta una disabilità.
I ragazzi, dopo aver trascorso la loro infanzia all’interno degli orfanotrofi, spesso senza potersi confrontare con il mondo esterno, appena maggiorenni sono costretti a lasciare la struttura di accoglimento e ad andarsene. E’ questo il momento in cui hanno un maggiore bisogno di sostegno. Molti di essi non riescono a integrarsi completamente nella società e rimangono pertanto ai margini. Dati ufficiali, tra cui quelli forniti dall’Ufficio del Procuratore Generale, rilevano che il 30 % di questi ragazzi, un anno dopo aver lasciato l’istituto, è senza tetto sotto il quale vivere ed è costretto a vagabondare per le città. Il 40 % diventa tossicodipendente o alcolista e un ulteriore 40 % finisce col commettere reati di vario genere. Un giovane su dieci trova, inoltre, nel suicidio la soluzione ai suoi problemi. Solo pochi, dunque, riescono a farsi una vita mentre molti vanno a fondo dandosi all’alcool o al crimine.
L’aiuto principale di cui questi ragazzi necessitano non è esclusivamente economico, ma soprattutto umano.
Nella maggior parte dei casi, infatti, gli orfanotrofi ricevono molte risorse economiche dallo Stato a tal punto da soddisfare i bisogni primari dei bambini e dei ragazzi che ospitano. Questi istituti si impegnano anche a offrire loro un’istruzione e la possibilità a 18 anni, di raggiungere un diploma di maturità. Il limite di questo sistema, però, consiste nella gestione dei ragazzi isolati sempre e soltanto all’interno degli istituti. Ciò li priva delle opportunità di frequentare le scuole pubbliche e di confrontarsi con i propri coetanei. L’isolamento che questi giovani vivono per lungo tempo crea seri problemi nel momento in cui sono costretti a lasciare gli orfanotrofi.

L’intento del progetto “Porta per la vita” è di sostenere questi ragazzi con il denaro raccolto, accompagnandoli e assistendoli economicamente nel difficile passaggio tra l’abbandono dell’istituto e l’entrata nella vita sociale.
L’obiettivo è di incoraggiare i talenti, le abilità, le potenzialità che essi manifestano, sostenendoli nello studio o nell’apprendimento di un mestiere.
In questo modo si spera di favorire l’integrazione nel tessuto sociale del loro paese.

L’associazione GEOFORCHILDREN, che ha promosso e organizzato questo progetto di solidarietà e di aiuto, raccoglie i fondi per l’iniziativa e si assicura che questi vengano impiegati in favore degli orfani senza dispersioni e interferenze.
Tre uomini pedaleranno per diciassette giorni dal FVG alla Piazza Rossa di Mosca, passando per i principali paesi dell’Est Europa e attraversando la Slovenia, l’Austria, la Rep. Ceca, la Polonia, la Bielorussia e la Russia. Sono Paolo Ferraris ideatore dell’iniziativa, presidente di GEOFORCHILDREN, il fratello Alessandro e Arturo Giustina, socio di Starbene Group.
E io che ci faccio in questa sfida?
La mia competenza nell’organizzare questo viaggio, il supporto come COACH all’impresa, il mio desiderio di contribuire mi hanno spinto qua. La solidarietà non conosce limiti ne confini. La sofferenza sociale ha bisogno di aiuti reali e non di barriere. Donare tempo, energie e impegno liberamente è tutto ciò che ho deciso di fare.
So bene che quelle tre persone, quei tre grandi amici, diventano i promotori e i testimoni di una solidarietà che sarà per tutti un grande esempio, ma so anche che, in quanto sportivi, non devono mai perdere la loro preparazione fisica e mentale.
La sfida di raggiungere Mosca in bicicletta sta anche nella gestione degli imprevisti e dei problemi fisici che si possono incontrare.
C’è da temere tutto quello che permette di ripartire il giorno dopo per la successiva tappa. La grande incognita sono le strade: ogni intoppo allunga il tempo di percorrenza diminuendo quello di recupero di ciascun ciclista.
Tutto ciò che incontreremo aiuterà a crescere e a non dimenticare che lo scopo del progetto è raccogliere i contributi in donazione ai giovani russi.

Ride to Moscow, dal 29 luglio al 14 agosto 2016.
www.geoforchildren.org

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COACHING E PAURE

Il nostro equilibrio psicofisico è spesso turbato da stimoli esterni ed interni che fanno nascere emozioni talvolta legate all’ansia, alla paura o addirittura al panico.

Il buio, gli spazi chiusi o troppo grandi e aperti, gli insetti, la salita e la discesa ripide, il volare in aereo, il giudizio degli altri, parlare in pubblico, l’amare ed altro ancora, sono elementi che possono generare in noi una rassegna di paure più comuni.

Coaching_paura3_17_2016 La paura è un’emozione che interessa in misura variabile ogni essere umano, è, tra le emozioni una delle più antiche e ha un valore adattivo enorme. Si tratta di un’esperienza quotidiana, di un meccanismo di allerta, da noi considerato negativamente e quindi da evitare, mentre la paura è una valida reazione al pericolo e pertanto positiva.

La paura non si manifesta soltanto quando siamo di fronte all’elemento o alla situazione che la scatena, ma anche solamente quando ci pensiamo.

E’ una sgradevole sensazione che tende a bloccare la nostra quotidianità e la nostra libertà, a paralizzarci e a inibire ogni nostra espressione causata dalla percezione di un rischio o di un pericolo non solo reale, ma anche immaginato.

Coaching_paura2_2016 E’ la paura della paura, definita in termini tecnici, “ansia anticipatoria” quella condizione penosa di attesa di uno stato ansioso.

Interessante capire che a volte non è la cosa in sé il problema ma l’idea che noi abbiamo di quella data cosa. Infatti, prima che nella realtà, qualcosa accade dentro la nostra mente e ci fa vivere una sensazione di malessere.

In ogni paura c’è uno schema che si ripete: all’idea di una certa cosa proviamo paura, stiamo male e addirittura ci blocchiamo. I nostri pensieri complicano la situazione. Quello che è necessario fare è lavorare con la nostra mente proprio perché la paura è innanzi tutto nella nostra mente e ciò serve a smontarla.

Attraverso la coaching problemi specifici come le paure possono essere risolti molto rapidamente, anche in pochi minuti.Coaching_paura5_17_2016

Esaminiamo la paura di affrontare una salita ad esempio. La nostra mente lega un picco emozionale negativo (la paura) ad un immagine (la salita) e questo collegamento è così saldo da persistere e rinforzarsi ad ogni nuova occasione.

La paura attiva il sistema nervoso simpatico che prepara il corpo all’azione aumentando l’afflusso sanguigno e l’apporto di ossigeno. Se la paura è molto intensa, allora la reazione neurologica cambia e il sistema nervoso parasimpatico si attiva: la pressione sanguigna diminuisce insieme al battito cardiaco, alla temperatura e alla tensione muscolare. Questa reazione può impedirci di agire bloccandoci e allo stesso tempo di contenerci.

Magari la paura della salita è nata tanto tempo fa da un singolo evento a cui abbiamo dato un significato importante e magari da un condizionamento esterno a noi interessa davvero poco. Quello che normalmente desideriamo è liberarci da quella paura per sempre, altrimenti, ogni volta che pensiamo o vediamo una salita, immediatamente la nostra mente ci fa vivere l’emozione che ha agganciato, in questo caso la paura.

Grazie alla coaching è possibile ”sganciare” l’emozione negativa (paura) dall’immagine (salita) per poi agganciare alla stessa immagine (salita) un’emozione positiva o almeno neutra.

L’efficacia del percorso coaching è immediata.

Chiedere aiuto ad un coach significa essere consapevoli che esiste un problema e che egli conosce i metodi efficaci di risoluzione. Vincere la paura vuol dire aprirsi ad una visione della realtà soggettiva, partendo da un cambiamento nel modo di sentire e interpretare. Aprirsi cioè ad una visione dell’ostacolo come opportunità di guarigione, come attivatore di un cambiamento. Se siamo in grado di coglierne il senso, riusciamo ad attribuire valore, finalità e dignità alla sofferenza della paura.

Coaching_paura6_17_2016L’autostima è l’elemento mancante. Una buona autostima consente di fare fronte a qualunque tipo di paura: è l’ingrediente che misura la nostra speranza nel futuro. Far leva sulle proprie risorse interiori permette di riconoscere e poi saper gestire le proprie paure. Obiettivo principale della coaching, infatti, è di contribuire al raggiungimento e al mantenimento di una condizione di maggior equilibrio e benessere. Per far ciò la coaching aiuta l’individuo nel riconoscimento delle emozioni negative come le paure, nella loro gestione e nel superamento in maniera efficace.

La differenza tra l’approccio psicologico tradizionale e quello della coaching è grande. Lo psicologo è orientato alla ricerca della causa di quella specifica paura perché sostiene che la conoscenza della causa possa risolvere il problema. Il coach invece è di supporto nella comprensione, nell’elaborazione e nella risoluzione del problema – paura; egli insegna a pensare in modo diverso, a dare alla mente nuove strategie per la costruzione di una nuova direzione affinchè si raggiungano i risultati desiderati.

 Il cervello procede secondo diverse direzioni: può procedere secondo la direzione del problema o può prendere una direzione migliore. Conoscendo il funzionamento del cervello, il coach insegna una tecnica da utilizzare per pensare in maniera più produttiva.

La riconversione consiste nel ridefinire la situazione che ci spaventa ristrutturandola secondo una nuova ottica più positiva. Il coach utilizza questa strategia per far allentare la tensione che c’è in noi, quell’ansia che tende a farci adottare comportamenti disfunzionali e, inoltre, per favorire un salutare distacco dalla paura che ci sta condizionando. Guardare dall’altro o da un punto di vista distaccato significa porre una maggiore distanza tra noi e quella minaccia, dando modo alla nostra mente di valutare, elaborare e ricostruire l’emozione che si sta vivendo per negativa che sia.

La paura non può essere evitata, ma deve essere gestita.

 Se desideriamo realmente superare una paura, dobbiamo inevitabilmente, come primo passo, accoglierla e accettarla. Ciò significa anche ammettere quella data paura per poi comprenderla. Prendendola dentro di noi, facendole spazio, la paura può rivelarci aspetti di noi di cui a volte non siamo consapevoli.

E’ vero che la paura, in generale, ci protegge da tutto ciò che, pure se piacevole, può minacciare il nostro equilibrio, ma, nello stesso tempo, ci isola in uno spazio angusto limitandoci la libertà e togliendoci quel benessere interiore generale.

Il coach può aiutare a trasformare quello spazio in un luogo protetto dove esprimere il proprio pieno potenziale. La paura può essere così uno strumento di crescita per tutti coloro che vogliono rinforzare i propri aspetti fragili e trasformare quelli disarmonici.Coaching_paura4_17_2016

Vincere una paura significa aprirsi a una nuova consapevolezza, vuol dire fare propri quegli aspetti della vita non ben accettati.

Per sviluppare il proprio potenziare e accrescere le proprie performances, molto spesso è necessario rimuovere quegli ostacoli emotivi o mentali come le paure.

Resta infatti da chiederci: cosa e quanto ci hanno fatto perdere le nostre paure?

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LA SFIDA E’ DARE

Dare è il primo passo. E non avere paura di donare è il segreto.

Da sempre le persone e le organizzazioni destinano risorse a progetti con finalità socio – assistenziali e di aiuto. Ogni anno singole offerte e significative somme di denaro si riversano a favore di minori orfani, di bambini con disabilità, di poveri e indigenti, delle ricerche in campo medico, della realizzazione di strutture e infrastrutture. Un vero e proprio mondo indaffarato ogni giorno nell’ aiutare gli altri si profila strutturato e orientato a moltiplicare il numero di persone coinvolte, le aree di operatività e la forza espressa a contrasto delle miserie e delle necessità di numerosi luoghi.

Amoris excessus, sovrabbondanza di amore, sta a dire che al centro di tutto vi è la beneficienza.4lug_1Registrazione dominio per Blog_register.it_docx

Quando si fa riferimento alle attività di beneficienza molto spesso si allude alla filantropia, a quel sentimento identificato con l’ amore nei confronti del prossimo e con la generosità verso gli altri. Dal greco antico philìa, “amore” e ànthropos, “uomo, essere umano”, filantropia nell’uso corrente significa disposizione d’animo, atteggiamento di amore verso gli esseri umani e impegno operoso di un individuo o di gruppi sociali nel promuovere la felicità e il benessere altrui attraverso azioni di solidarietà.

Sentirsi bene facendo del bene. Dare tempo, energie e competenze liberamente rappresenta tutto ciò che una singola persona o un’organizzazione ha deciso di fare. Senza pressioni ad agire da parte di altri, quelle figure hanno preso la decisione di aiutare spontaneamente. Se può essere vero che da sole non sono in grado di risolvere tutti i problemi del mondo, con ciò che ciascuna vuole contribuire si può rendere migliore quel piccolo contesto a cui l’aiuto é destinato.

4lug_3Solidarieta-le-donazioni-italiane-corrono-sul-webQuando si dona, probabilmente anche si riceve. Quando si da’ una mano agli altri, si da’ anche una mano a se
stessi. Dare soddisfa in realtà un bisogno che è grande in noi. Il bisogno spirituale di contributo si appaga solo quando si contribuisce alla vita degli altri. Proprio come un neonato non può sopravvivere da solo senza l’apporto al proprio benessere da parte degli altri, così noi non siamo in grado di ricevere una gratificazione spirituale se non diamo il nostro apporto aiutando gli altri.

Il desiderio di soddisfare questo tipo di bisogno sorge in automatico, non prevede alcuno sforzo cosciente. A prescindere dalla nostra identità, dal nostro vissuto personale, dalla nostra religione e dalla nostra professione, dalla razza e dalla cultura di appartenenza, ogni giorno siamo spinti a soddisfare quel bisogno che da sempre è parte integrante della natura umana.
“Soltanto riuscendo a soddisfare il bisogno dello spirito sarà possibile raggiungere l’obiettivo di una gioia sostenibile piuttosto che quello di un piacere momentaneo “.

L’essere umano solitamente appaga il proprio specifico bisogno in modo positivo, negativo o neutro, ma in ogni caso e in qualche particolare maniera riesce a soddisfarlo. È sempre possibile soddisfare un bisogno: il segreto consiste nell’individuare una modalità ragionevole di realizzazione e che procuri più piacere che dolore.
La psicologia fornisce la risposta al perché l’uomo agisca e si comporti in un certo modo, perché esistano persone disposte a dare, a rendersi utili, a sacrificare la propria vita e parallelamente ci siano persone poco disposte a dare o addirittura disposte a uccidere per puro piacere. Questo perché esiste una forza che determina tutte le nostre emozioni e azioni, la qualità della nostra vita e che si chiama bisogno umano.4lug_2social-work-lecture-series-1024x576-e1447005769734

E’ vero che donare o prestare servizio gratuito per aiutare le persone in difficoltà senza niente in cambio è un atto generoso altruistico e pro sociale, ma non sono soltanto queste le motivazioni.

Le motivazioni si esplicano nelle azioni, e nei risultati, non sono mai fatti osservabili. Il bisogno di contribuire a volte nasconde altri bisogni personali. Come il ridurre il proprio disagio di fronte alle necessità o sofferenze altrui per una pace interiore, come il desiderare di accrescere la propria autostima sentendoci utili, a volte indispensabili, ma comunque protagonisti, come il fare nuove esperienze e acquisire abilità, come il dare un altro significato alla propria esistenza, come il confidare in un riconoscimento sociale. Certo è che se il contribuire produce benessere non solo a chi riceve ma pure a chi dà eticamente, allora non è più necessario indagare sul perché si contribuisce.

Dare e fare per gli altri rimane comunque l’espressione di un orientamento pro attivo e pro sociale che crea benessere e non fa male.

Ci sono persone e imprese che hanno il senso della filantropia. Ma ci sono pure condizioni che vanno rispettate.

La destinazione della risorsa donata deve essere garantita, gli obiettivi di aiuto devono essere chiari, la modalità di distribuzione o di intervento deve essere pianificata e il risultato finale deve essere certo e dimostrato.

Singolo individuo o organizzazione che sia, a prescindere dalla propria missione e dai propri scopi, deve essere in grado di pianificare, organizzare e gestire tutte le azioni che portano ad una raccolta fondi e contributi senza scopo di lucro. Inoltre, il fundraiser non deve perdere di vista quelle caratteristiche a cui tendere che sono: la credibilità, la fiducia da parte degli altri, contribuenti e riceventi, la curiosità di conoscere realtà di bisogno, la consapevolezza delle proprie responsabilità, l’intraprendenza e l’esposizione al rischio, la capacità di perseverare, l’essere concreti, chiari, realistici ed efficaci.

L’organizzare una lotteria o una pesca di beneficienza, come intraprendere un’operazione finanziaria per la costruzione di un ospedale in Africa, per esempio, è filantropia e come tale deve sostenere il progetto desiderato con grande passione. La cosa importante è scegliere sulla base dei desideri personali e chiedersi quale scopo si voglia ottenere con il contributo. A volte non c’è bisogno soltanto di denaro, ma anche di persone affinché il progetto venga sostenuto.

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Siamo in molti a credere che in un certo momento della nostra vita, si delinea quella responsabilità di restituire alla società e all’ambiente in cui viviamo le risorse ricevute in precedenza per la nostra crescita personale. Oltre che una responsabilità, contribuire è un onore.

 Oggi la generosità può essere la sintesi di un meccanismo di mercato che avanza autonomamente. La nuova tendenza è di fare filantropia facendo anche un etico profitto. Avere un orientamento sociale attraverso attività sociali grazie ad una filantropia aziendale, crea pure un valore aggiunto ai servizi o ai prodotti offerti e non solo un ritorno di immagine.

Nei paesi anglosassoni già da alcuni anni c’è un orientamento all’innovazione sociale intesa come risposta ai bisogni emergenti attraverso nuove forme di azione e relazione. Il Social Impact Investing ad esempio, si propone di progettare lo sviluppo di un Paese intero coinvolgendo gli ambiti pubblici e privati, le organizzazioni no-profit, con un duplice obiettivo: grande impatto sociale e guadagno economico. Si sa che la crescita sociale spinge in direzione di una crescita dell’economia. Oggi ciò è reso possibile dalla mancanza di risorse pubbliche e dalla minor contrapposizione tra il fare profitto e il fare beneficienza.

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